Rassegna stampa di “L’ITALIA DIVERSA”

DICONO DI “L’ITALIA DIVERSA”

 

Parchi e aree protette Ecco l’ Italia salvata
(di Paola D’ Amico, Corriere della Sera, 18 novembre 2011)

MILANO – Immaginiamo che tanti popoli, quelli dell’ acqua pubblica e delle energie rinnovabili, dei parchi e dei paesaggi, dei fiumi puliti e dei pannelli solari sopra i tetti, delle piste ciclabili come a Stoccolma e dei treni per pendolari come a Barcellona, si prendano per mano e marcino uniti. Forse l’ «Italia diversa» ( nella foto la copertina ) (edizioni Gribaudo) presentato ieri alla Triennale di Milano, nel quale Gabriele Salari racconta i 35 anni di battaglie e vittorie delle associazioni ambientaliste, potrebbe diventare realtà. Dal Nord al Sud, dal disastro di Seveso del ’ 76, quando dallo stabilimento chimico di Meda fuoriuscirono tremila chili di veleni, all’ orrore dell’ amianto e al petrolchimico di Augusta, in Sicilia, scorrono le immagini degli scempi ambientali che hanno cambiato i connotati al nostro Paese. Eppure il popolo di sognatori oggi parla di sfide vinte: dal patrimonio delle aree protette alla crescita del biologico, dal rimboschimento alla tutela della biodiversità. Crescono le radici della cultura ecologica nel Paese. Nata dal basso, quasi a compensare le carenze di una politica ambientale ecologica ancora indietro, grazie a Italia Nostra, Fai, Wwf, Legambiente, Lipu, Aim, Touring Club (pochi sanno che è un’ associazione ambientalista) e cento altri movimenti (sono tremila le associazioni sul territorio). Che adesso attraverso le voci di Giulia Maria Crespi e Alessandra Mottola Molfino lanciano un messaggio: «Noi siamo interlocutori del governo Monti». Dalla parte del popolo di sognatori si è schierata Fondazione 3M, perché il volume è anche la fotografia del made in Italy meno conosciuto: in Italia 370 mila imprese sono impegnate nella green economy. Anche grazie a questo popolo di «visionari» oggi si può fare un bilancio dell’ Italia salvata, quella delle riserve marine, delle aree archeologiche, dei grandi e piccoli musei. Come recita un proverbio cinese, si legge in quella che sarà una bibbia per gli ambientalisti vecchi e nuovi: «Una quercia che cade fa molto rumore, ma una grande foresta cresce in silenzio». In Italia proprio male non ce la passiamo: in 80 anni, in silenzio, i boschi sono triplicati.

 

HabitatGr Rai
(di Roberto Pippan)

Mettere in sicurezza il territorio, fare prevenzione, costa molto meno che intervenire dopo che sono avvenute le catastrofi. Lo ripetono da anni le organizzazioni ambientaliste. Ma cosa sono riuscite a cambiare in Italia negli ultimi 35 anni? Nella loro storia ci sono piu’ vittorie o più sconfitte? E quali sfide affronteranno nel prossimo futuro? In linea Gabriele Salari autore del libro, fresco di stampa, “l’Italia diversa”, edizioni Gribaudo: storia, risultati e prospettive delle battaglie a tutela del paesaggio, contro gli scempi ambientali che continuiamo a sfregiare il Belpaese. Insomma non solo un elenco di disastri ma anche l’esempio dei buoni risultati ottenuti.Scarica l’intervista al link in fondo.

 

Ambientalismo, un libro e un convegno
(di Stefano Brambilla, www.touringclub.it, 18 novembre 2011)

Si chiama L’Italia diversa, il volume a cura di Gabriele Salari sulla storia delle politiche e delle azioni delle associazioni di ambientalismo in Italia, appena edito da Gribaudo (49 euro). E naturalmente il Tci non poteva mancare, nelle pagine dell’opera, insieme a Fai, Italia Nostra, Wwf e Lipu: cinque organizzazioni che saranno presenti giovedì 17 novembre alla Triennale di Milano per presentare la novità editoriale e discutere sul tema, insieme a docenti universitari ed esperti di tematiche legate all’ambiente (ingresso libero, dalle 9 alle 13; per maggiori informazioni, www.triennale.org). Si parlerà di sfide ambientali del futuro, dal cambiamento climatico alla nuova economia dello sviluppo sostenibile, dalla rivoluzione agricola alla conservazione della biodiversità fino al nuovo movimento delle green cities.
Abbiamo posto qualche domanda a Gabriele Salari, giovane giornalista e divulgatore ambientale, per capire meglio il significato del volume che riguarda molto da vicino anche la nostra associazione.

Gabriele, com’è nata l’idea di scrivere questo libro?

Tutto nasce dal ricordo del disastro di Seveso. Non l’ho vissuto – ero nato da poco – ma la data del 1976 è impressa ormai come una pietra miliare nell’ambientalismo: mettere in luce quanto è stato fatto per l’ambiente in Italia in questi 35 anni grazie alle associazioni ambientaliste è stato il punto di partenza. Poi ci si è resi conto che bisognava anche evidenziare i traguardi ancora da raggiungere e le nuove sfide che impongono gli anni 2000.

Qual è l’obiettivo del volume?

Non è un libro da sfogliare per le fotografie, anche se la loro qualità è davvero molto alta. Se servirà a far prendere maggiore coscienza dei problemi ambientali e soprattutto di quanto riesce a fare il volontariato con pochi mezzi, tanta tenacia e ostinazione, allora avremo centrato l’obiettivo. E più forza avranno le associazioni ambientaliste, più iscritti e attivisti, maggiore sarà la mia soddisfazione di aver fatto un bel lavoro.

Cosa emerge dalla storia dell’ambientalismo italiano?

Che se la società civile spinge per il cambiamento e la politica presta un orecchio, anche traguardi che sembrano utopie prima o poi possono essere raggiunti. Prendiamo l’energia solare, per esempio. Solo 4 anni fa eravamo il fanalino di coda d’Europa nonostante l’irraggiamento solare di cui godiamo. Grazie alla politica di incentivi varata allora dal governo Prodi ora siamo i primi dalla classe, con 12 mila megawatt, superando anche la Germania che allora era il faro.

Quali sono le prospettive per il futuro immediato?

Basta guardare a quanto accaduto di recente con le alluvioni in Liguria e Toscana. Viviamo con apprensione ogni annuncio di una perturbazione come se fosse un monsone o un tornado. Il territorio, violentato dall’uomo, non è più in grado di reggere una quantità di pioggia eccessiva e i cambiamenti climatici porteranno sempre più a eventi estremi. Vogliamo prenderci cura dell’ambiente e del territorio oppure piangere sempre nuovi morti?

Qual è il ruolo del volontariato?

Uno degli obiettivi del libro è proprio quello di valorizzare il patrimonio del volontariato che si muove in difesa dell’ambiente. Alle Cinque Terre è morto un volontario sardo; a Genova c’è stata la risposta più generosa e sorprendente, venuta da centinaia di ragazzi che si sono messi a spalare. E’ un volontariato silenzioso di cui raramente si parla, benchè dia tantissimo al paese: se non ci fossero i volontari quanto ci costerebbe tenere in piedi l’Italia? L’Italia è uno dei paesi più ricchi di biodiversità del mondo, grazie alla sua posizione; ma tutto il resto è l’uomo che l’ha realizzato, non dimentichiamocelo.

Quali sono i limiti dell’ambientalismo italiano, per esempio in confronto a quello europeo?

Non credo si possano fare paragoni: è diverso il rapporto tra uomo e natura. In Germania è un movimento molto più radicato, ma perché ci si è staccati prima e più nettamente dalla natura per urbanizzarsi. Da noi gli orsi sono a un’ora e mezzo dalla capitale e la foca monaca fa capolino ogni tanto dove meno ce l’aspettiamo. Il paesaggio italiano è modellato dall’uomo: questa è una ricchezza, ma fa sì anche che la coscienza ambientalista sia diversa. Diamo troppo per scontato che viviamo in un paradiso e così pian piano lo distruggiamo. Il Wwf in Italia è più forte che in tanti altri Paesi europei e ha creato un sistema di oasi unico. Il Fai riprende la felice intuizione del National Trust inglese ma non è che esistano molti altri omologhi in Europa. Il Touring è un’associazione unica. Insomma, abbiamo dei bei primati anche guardando alle associazioni.

Nel libro, intervisti i presidenti di cinque associazioni ambientaliste, tra cui quello del Touring Club Italiano, Franco Iseppi. C’è un tratto comune negli obiettivi dei vari gruppi?

Queste associazioni operano in molti campi, anche parecchio diversi tra di loro. Ma tutte hanno individuato un’emergenza primaria, una sfida da affrontare subito: la cementificazione del territorio. Sempre più terreni agricoli, anche di pregio, sono consegnati ai cementificatori – anche quando esistono capannoni vuoti… – e spesso senza la valutazione di impatto ambientale. D’altronde, se togliamo l’Ici ai comuni non rimangono molti soldi…

Quale dovrebbe essere secondo te il ruolo delle associazioni?

Non devono inventarsi cose nuove, le associazioni. Devono catalizzare il consenso che hanno e provare a tradurlo in cambiamento. Idee e proposte sono quelle di sempre: servono strumenti nuovi per dare concretezza. Anche se a volte le iniziative sono più dettate dal marketing che dalle esigenze del territorio: una tendenza che potrebbe essere pericolosa, in futuro. Si raccolgono fondi per progetti che sono più di immagine che altro.

 

L’Italia diversa
(di Marco Milano, www.scienzainrete.it, 19 dicembre 2011)

10 luglio 1976, ore 12:37. Una data che è, in qualche modo, un punto di non ritorno: il disastro di Seveso, il paese più colpito dall’incidente dello stabilimento chimico di Meda, ricordato come uno dei disastri ambientali più tragici e emblematici del nostro Paese. Tale data è anche un punto di partenza per un viaggio nella memoria storica degli ultimi decenni dell’Italia, con lo sguardo rivolto ai cambiamenti e agli stravolgimenti del nostro paesaggio. “L’Italia diversa”, di Gabriele Salari, è un progetto editoriale che nasce come un’urgenza – come raccontato dallo stesso Salari in appendice – considerando le ricorrenze chiave del 2011: 35 anni da Seveso, appunto, 25 da Chernobyl, tra le più importanti.
240 pagine che – con la complicità di contenuti fotografici d’archivio e più attuali – cercano di capire quali siano stati gli scempi ambientali più rilevanti in un Paese che sembra non accorgersi ancora dell’eccezionale diversificazione del suo paesaggio. E molto spesso, invece, lo mortifica.
“L’Italia è probabilmente l’unico paese al mondo – dopo la rivoluzione francese – privo di certezza del diritto in materia di uso del territorio”: sono le parole di Vezio de Lucia, urbanista non nuovo alle polemiche sulla gestione dissennata nel territorio e assetto urbano italiano, a fare da apripista a questo volume. Quella di de Lucia non è l’unica voce prestata a questo viaggio, molti sono gli ospiti che lo rendono una specie di romanzo per immagini, reali o evocate lungo la cronistoria documentata. Partire dal ‘76 significa, inevitabilmente, ricordare la crisi energetica di metà anni ’70, il percorso lento che ha permesso una ridefinizione di ‘natura’ in ‘ambiente’, con la nascita delle prime associazioni. O ancora, la minaccia dell’amianto (messo al bando nel 1982) e gli eventi di portata internazionale che hanno influito, inevitabilmente, su alcune scelte italiane: Bhopal in India, 1984, Chernobyl, fino ad arrivare a Kyoto e Fukushima, ultima tappa.

Non si parla però solo di sconfitte e disastri più o meno annunciati. Il racconto si fa corale nella seconda sezione, con il contributo dei pionieri dell’associazionismo per la tutela ambientale: Franco Iseppi presidente del Touring Club Italiano, Alessandra Mottola Molfino presidente di Italia Nostra, Fulco Pratesi presidente onorario del WWF, tra gli altri – “Abbiamo creato un modello in Italia consentendo a milioni di persone, soprattutto bambini, di conoscere e amare gli ecosistemi naturali, sviluppando la ricerca scientifica in queste aree e favorendo il turismo”
Se i successi guadagnati da questi protagonisti – come l’istituzione delle aree protette, la rivalutazione del paesaggio rurale e il rimboschimento – hanno in qualche modo arginato un processo di perdita, la crisi complessiva in cui versiamo richiama in modo prepotente l’ambiente, in senso lato. Guardare al futuro con la certezza che le risorse ambientali siano un volano per lo sviluppo è il leit motiv dell’ultima sezione, “Le sfide che ci attendono”. Non solo natura, ma anche arte, agricoltura e turismo: l’ambiente diventa un soggetto complesso con cui convivere e le sfide vengono affrontate con proposte di Vincenzo Balzani per la crisi energetica, Antonio Navarra per la politica nel cambiamento climatico, Riccardo Petrella per la risorsa dell’acqua – alcuni tra i dodici contributi conclusivi.

“L’Italia diversa” è un volume che vuole fare il punto, insomma, provando ad aprire un nuovo viaggio e proporsi come guida, non per gli addetti ai lavori. Un progetto ambizioso e non semplice, considerando la posta in palio. Che però avrebbe potuto avvantaggiarsi di un maggiore contributo dedicato a quanto l’iniziativa dei singoli cittadini, ora, può fare la differenza, senza aspettare (inutilmente?) improbabili cambiamenti nelle strategie politiche che troppo hanno influito sullo spreco delle nostre risorse. E, a ben vedere, questa prospettiva sarebbe rafforzata dalla consapevolezza che i difetti del Bel Paese serpeggiano nella cultura figlia di una storia ben più lunga degli ultimi 35 anni. Ma lo spirito evocativo e la documentazione di questo viaggio non lasciano dubbi su quello di cui si sta parlando.

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