PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI FEDERICA BORDONI, SPELLO, 13 DICEMBRE 2008

Presentiamo questa sera il volume “Diario umbro. Un anno sul monte Subasio tra santi, lecci e poeti” di Gabriele Salari, pubblicato dalla casa editrice Era Nuova di Perugia.

Lo stesso autore ci informa che il suo libro “è un collage di sensazioni, ricordi ed esperienze.
Spigolature umbre, scritte per gli umbri e per tutti coloro che amano e visitano questa terra.
Si parla dell’Umbria, ma a volte il discorso parte dal microcosmo per spostarsi al macrocosmo, rappresentato dall’Italia, dal mondo o dalla vita che conduciamo.
Una raccolta di osservazioni sulla natura, la storia e l’arte di quest’angolo di Umbria che si trova tra Foligno, Spello e Bevagna e anche un modo diverso per scoprire il territorio.”.

L’autore ha origini umbre. I nonni sono di Spello e gli hanno lasciato la casa di Collepino da dove Gabriele ha tenuto questo diario. Ilnonno Giuseppe Salari è nato a S.Giovanni di Spello. Ha studiato a Perugia e poi si è trasferito a Foligno dove è stato avvocato (e senatore dal 53 al 72); il padre, Felice, e gli zii, sono nati a Foligno.
Leggo subito un ricordo del nonno Giuseppe, che lega immediatamente la memoria della famiglia dell’autore alla memoria storica collettiva di tanti spellani, fra i quali mi piace ricordare anche il mio nonno paterno Angelo Bordoni.
Il capitolo si intitola “(Il rastrellamento di Collepino) – e Gabriele spiega: Sta finendo agosto e mi metto a scartabellare in cantina tra le mille carte della biblioteca di famiglia. In un testo trovo una lettera di denuncia di Balilla Bordoni di sessant’anni fa esatti, del 30 agosto 1945, indirizzata al CLN. Si racconta che il 24 ottobre 1943 “nel rastrellamento a Collepino parteciparono circa 370 fascisti al comando di un console e di un maggiore di Assisi”. Nella stessa lettera si afferma che “nella notte del 12−13 gennaio 1944 alle ore 2.30 un plotone di trenta militi, tra fascisti e tedeschi, penetrò violentemente nella mia casa arrestando me e mio fratello più piccolo, Antonio, sottoponendoci ad interrogatori a suon di nerbate.”
Ma al di là di questo ricordo drammatico, il diario di Gabriele Salari è – come scrive nellapresentazione Fabrizio Carbone:  “… ossigeno e serenità. E’ una puntigliosa ricostruzione di quella fetta di Umbria tra Assisi e Spello, Bevagna, Montefalco, il Subasio, i Sibillini, colpita da un terremoto che fece crollare la basilica di Francesco, che uccise e sconvolse la vita di una grande massa di persone civili che, finite le scosse, ripresero subito a vivere con dignità esemplare, rimboccandosi le mani, ricominciando magari da zero. E allora il Diario Umbro e’ anche una guida, sicuramente una guida di quelle ben fatte che annotano tutto e che ti spingono ad andare a visitare quel borgo, quella chiesetta, quel convento, quella valle.”
Gabriele Salari è molto giovane, ma ha già un importante curriculum professionale e una buona esperienza di scrittura. Prima di leggere le parole dell’autore, voglio ribaltare la lettura del suo libro, cominciando dalla fine. Mi sembra infatti che per cogliere il senso profondo di questo testo, la causa della sua necessità, occorra cominciare dalle sue ultime pagine, quelle che riportano una lettera dell’ecologista altoatesino Alex Langerdel 1 marzo1990 intitolata “Caro San Cristoforo” pubblicata in “Lettere 2000” (ed. Eulema)
Infatti ci chiede l’autore a conclusione del suo percorso:
“Qualcuno si domanderà perché ho voluto ricordare Alex Langer in un libro che parla dell’Umbria”, poiché Langer è altoatesino e non umbro.“Per chi non lo conoscesse– ci dice Gabriele – è stato un esponente importante dei Verdi, uno dei padri fondatori delle Liste Verdi. La sua figura però trascende l’esperienza politica così come il suo agire non era semplicemente quello di un ecologista e pacifista convinto– anche se“solo per questo varrebbe la pena ricordarlo.”Piuttosto – insiste il nostro autore – “Quello che di lui colpiva era l’integrità, l’attaccamento alla politica intesa come strumento per cambiare la società e soprattutto la sua capacità di costruire ponti tra le culture, le persone e le generazioni.”.
Mi vorrei soffermare su questo concetto di “cambiamento della società” attraverso l’azione politica di “gettare ponti” tra le diverse culture. Quello che mi preme sottolineare è che Gabriele Salari vuole trasmetterci con le parole di Langer il messaggio significativo di come ognuno di noi può farsi artefice di una comunicazione (o di una via di comunicazione, un ponte, appunto); può segnare un tracciato che consenta un passaggio, da una sponda all’altra di un fiume. L’autore dunque trascrive in appendice al suo diario la lettera che il politico altoatesino, morto suicida, scrive al santo che fa attraversare il Gesù Bambino, a colui cioè che, nella fatica di questo attraversamento, nello sforzo di condurre le persone da una sponda all’altra del fiume, sente su di sé l’enorme peso del mondo.
San Cristoforo lo conosciamo tutti, lo abbiamo potuto vedere dipinto all’esterno o all’interno delle nostre chiese del XIV e del XV secolo, nella figura di un gigante che fa attraversare il fiume al Gesù Bambino. Oggi, dal 1969, questo antico santo e martire cristiano non è più annoverato tra i santi del calendario cattolico a causa della sua dubbia storicità e già nel XVI secolo il Concilio di Trento aveva tentato di abolirne il culto, ma senza successo, vista la grande devozione popolare verso questo santo.
Ma vale la pena ricordare la versione popolare della sua vicenda biografica, tramandata dalla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Ci racconta l’agiografo medievale che Cristoforo era un cananeo di struttura gigantesca che voleva mettersi al servizio dell’uomo più potente della regione e di nessun altro. Il suo primo padrone, un re, perdette i suoi servigi quando dimostrò di temere Satana: Cristoforo lo lasciò per servire il demonio, che abbandonò quando lo vide tremare davanti alla croce. Dopo di allora si mise al servizio di Cristo e, guidato da un eremita, si dedicò a trasportare i poveri e i deboli al di là del fiume. Una notte gli capitò di portare un fanciullo che ad ogni passo diveniva più pesante. Il bambino rivelò di essere Cristo e disse perciò a Cristoforo che egli aveva portato sulle spalle il peso del mondo.
Ora se è facilmente traducibile la metafora cristiana espressa da questa leggenda, vale la pena soffermarsi su una lettura che può valere come proposito laico. Non ci affatichiamo dietro a falsi interessi: tentiamo di lavorare per ciò che vale davvero la pena, per ciò che consente di vivere co verità e di salvare il mondo.
La posta è dunque molto alta. Ma leggiamo qualche parola della lettera di Langer al “Caro Cristoforo … io la tua storia me la ricordo bene, almeno nel nocciolo. Tu eri uno che sentiva dentro di sé tanta forza e tanta voglia di fare, che dopo aver militato – rispettato ed onorato per la tua forza e per il successo delle tue armi – sotto le insegne dei più illustri ed importanti signori del tuo tempo, ti sentivi sprecato. Avevi deciso di voler servire solo un padrone che davvero valesse la pena seguire, una Grande Causa che davvero valesse più delle altre. Forse eri stanco di falsa gloria, e ne desideravi di quella vera. Non ricordo più come ti venne suggerito di stabilirti alla riva di un pericoloso fiume per traghettare – grazie alla tua forza fisica eccezionale – i viandanti che da soli non ce la facessero, né come tu abbia accettato un così umile servizio che non doveva apparire proprio quella “Grande Causa” della quale – capivo – eri assetato. Ma so bene che era in quella tua funzione, vissuta con modestia, che ti capitò di essere richiesto di un servizio a prima vista assai ‘al di sotto’ delle tue forze: prendere sulle spalle un bambino per portarlo dall’altra parte, un compito per il quale non occorreva certo essere un gigante come te ed avere quelle gambone muscolose con cui ti hanno dipinto. Solo dopo aver iniziato la traversata ti accorgesti che avevi accettato il compito più gravoso della tua vita, e che dovevi mettercela tutta, con un estremo sforzo, per riuscire ad arrivare di là. Dopo di che comprendesti con chi avevi avuto a che fare, ed avevi trovato il Signore che valeva la pena servire, tanto che ti rimase per sempre quel nome”, cioè appunto “colui che trasporta il cristo”, Cristoforo.
Ma ecco la morale laica, o – se volgiamo – politica, della storia. Ecco ancora le parole di Alex Langer: “Perché mi rivolgo a te, alle soglie dell’anno 2000? Perchè penso che oggi in molti siamo in una situazione simile alla tua, e che la traversata che ci sta davanti richieda forze impari, non diversamente da come a te doveva sembrare il tuo compito in quella notte, tanto da dubitare di farcela. E che la tua avventura possa essere una parabola di quella che sta dinnanzi a noi.
Ormai pare che tutte le grandi cause riconosciute come tali, molte delle quali senz’altro importanti ed illustri, siano state servite, anche con dedizione, ed abbiano abbondantemente deluso. Quanti abbagli, quanti inganni ed auto-inganni, quanti fallimenti, quante conseguenze non volute (e non più reversibili) di scelte ed invenzioni ritenute generose e provvide.
I veleni della chimica, gettati sulla terra e nelle acque per “migliorare” la natura, ormai ci tornano indietro: i depositi finali sono i nostri corpi. Ogni bene ed ogni attività è trasformata in merce, ed ha dunque un suo prezzo: si può comperare, vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi), e l’utero (per una gravidanza in “leasing”). Tutto è diventato fattibile: dal viaggio interplanetario alla perfezione omicida di Auschwitz, dalla neve artificiale alla costruzione e manipolazione arbitraria di vita in laboratorio.
Il motto dei moderni giochi olimpici è diventato legge suprema ed universale di una civiltà in espansione illimitata: “citius, altius, fortius”, più veloci, più alti, più forti si deve produrre, consumare, spostarsi, istruirsi… competere, insomma. La corsa al “più” trionfa senza pudore, il modello della gara è diventato la matrice riconosciuta ed enfatizzata di uno stile di vita che sembra irreversibile ed incontenibile. Superare i limiti, allargare i confini, spingere in avanti la crescita ha caratterizzato in misura massiccia il tempo del progresso dominato da una legge dell’utilità definita “economia” e da una legge della scienza definita “tecnologia” – poco importa che tante volte di necro-economia e di necro-tecnologia si sia trattato.
Cosa resterebbe da fare ad un tuo emulo oggi, caro San Cristoforo? Quale è la Grande Causa per la quale impegnare oggi le migliori forze, anche a costo di perdere gloria e prestigio agli occhi della gente e di acquattarsi in una capanna alla riva di un fiume? Qual’è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero, ma in realtà pesante e decisivo da traghettare?
Il cuore della traversata che ci sta davanti è probabilmente il passaggio da una civiltà del “di più” ad una del “può bastare” o del “forse è già troppo”. Dopo secoli di progresso, in cui l’andare avanti e la crescita erano la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare effettivamente impari pensare di “regredire”, cioè di invertire o almeno fermare la corsa del “citius, altius, fortius”. La quale è diventata autodistruttiva, come ormai molti intuiscono e devono ammettere (e sono lì a documentarlo l’effetto-serra, l’inquinamento, la deforestazione, l’invasione di composti chimici non piú domabili…ed un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della biosfera e dell’umanità). Bisogna dunque riscoprire e praticare dei limiti: rallentare (i ritmi di crescita e di sfruttamento), abbassare (i tassi di inquinamento, di produzione, di consumo), attenuare (la nostra pressione verso la biosfera, ogni forma di violenza). Un vero “regresso”, rispetto al “più veloce, più alto, più forte”. Difficile da accettare, difficile da fare, difficile persino a dirsi.”.
Eppure, conclude Langer: “Ecco perchè mi sei venuto in mente tu, San Cristoforo: sei uno che ha saputo rinunciare all’esercizio della sua forza fisica e che ha accettato un servizio di poca gloria. Hai messo il tuo enorme patrimonio di convinzione, di forza e di auto-disciplina a servizio di una Grande Causa apparentemente assai umile e modesta…
Poiché occorre ormai: “Passare … dalla ricerca del superamento dei limiti, ad un nuovo rispetto di essi e da una civiltà dell’artificializzazione sempre più spinta ad una riscoperta di semplicità e di frugalità. Non basteranno la paura della catastrofe ecologica o i primi infarti e collassi della nostra civiltà (da Cernobyl alle alghe dell’Adriatico, dal clima impazzito agli spandimento di petrolio sui mari) a convincerci a cambiare strade. Ci vorrà una spinta positiva, più simile a quella che ti fece cercare una vita ed un senso diverso e più alto da quello della tua precedente esistenza di forza e di gloria. La tua rinuncia alla forza e la decisione di metterti al servizio del bambino ci offre una bella parabola della “conversione ecologica” oggi necessaria.
Ma dov’è il nesso fra il diario umbro del nostro autore e la parabola “ecologica” dell’altoatesino Langer? È nell’indicazione di un modus vivendi, di una nuova filosofia di vita; ricordiamo alcuni dei termini appena letti: “rallentare, abbassare, attenuare”, produrre “un vero ‘regresso’.”.
“La capanna in riva al fiume da attraversare” scelta da Gabriele è la casa dei nonni a Collepino; infatti: “(La vetrata sulla valle) Quando sei in salotto di fronte alla vetrata al di là della quale vedi solo una valle verde con pochissimi casolari, dimentichi completamente la vita quotidiana fatta di spostamenti tra casa e ufficio, cellulare sempre acceso, mail sempre aperta.”
Tra l’uomo e il mondo, il gigante è diventato l’uomo e la natura (o meglio, il suo delicato equilibrio) è il bambino che va fatto traghettare e portato in salvo dalla furia della corrente di questo fiume in piena che è il progresso.
 
Questo zibaldone di pensieri di Gabriele Salari, questo sobrio diario di un anno vissuto in Umbria, sul Subasio, a Collepino, nella casa dei nonni e in giro per l’Umbria (minore, potremmo dire), fra gente “senza grilli per la testa”, rappresenta una immersione in un sistema di vita più autentico e antico allo stesso tempo, la riscoperta della terra e la contemplazione della natura.
Ancora una parola sulle motivazioni di questo libro, ancora un ‘maestro’ che ha convinto Gabriele alla scelta di questo metodo di testimonianza: Mario Rigoni Stern, da grande osservatore, – scrive Gabriele nell’icipit – … ha proposto questa riflessione che … è alla base delle motivazioni che mi hanno indotto a scrivere questo libro…: “Ma dov’è questo freddo che giornali e televisioni ci vogliono far credere? Freddo polare, freddo siberiano, bufere di neve, strade ingolfate…Anche d’estate si scrive caldo africano, siccità che spacca la terra; per dire dopo qualche giorno violenti temporali e piogge insistenti, freddo autunnale. Se ora dovesse arrivare la notizia che in qualche parte d’Italia è fiorito un mandorlo ecco tutti a dire che è qui la primavera. E’ che noi umani abbiamo la memoria corta, e chi ce la vuole ravvivare non ne ha, Pochi sono quelli che sull’agenda scrivono le temperature, le precipitazioni, i cambiamenti del clima. Solo affari, solo appuntamenti; una volta erano certamente di più gli uomini che usavano annotare anche le cose della natura…”
Ma al di là delle forti motivazioni che hanno sortito l’esito di questo scritto, un filo altrettanto tenace unisce fra loro i frammenti scritti, le osservazioni, le brevi riflessioni che l’autore ci sottopone. C’è un legante, una impalcatura che tiene unita la varietà di questa miscellanea ed è appunto il senso di amore profondo per la natura e la nostalgia verso una qualità che essa dovrebbe mantenere, che noi dovremmo aver cura di mantenere: la sua integrità.
E non considero un caso che questa riflessione avvenga sul Subasio, tra Spello e Assisi, poiché è grazie ad un altro santo, Francesco, che il sentimento della natura permea tutta la cultura umbra, così come intride e colora ogni parola di questo zibaldone. È un senso francescano della natura che unisce l’osservazione di animali, fiori, umili erbe commestibili e piccoli paesi, piccole chiese immerse nel verde, fonti e corsi d’acqua. E non sono io ad attribuire all’autore idee che non ha. Gabriele stesso, presentando il suo libro, confessa:
“… alla base delle motivazioni che mi hanno indotto a scrivere questo libro (ci sono) … l’amore per il Subasio e l’Umbria … Questo paesaggio, infatti, spesso così simile a quelli del Trecento, mi ispirava (inizialmente) una storia ambientata all’epoca di San Francesco.”.
Perciò questo diario non è umbro solo perché racconta dell’Umbria o solo perché è stato materialmente annotato qui, ma è ‘umbro’ in quanto aderisce in maniera stringente a questo mondo mentale e culturale.
Leggo ancora alcune frasi di Gabriele:
“(La testa mozzata) C’è una religiosità intrinseca in questo luogo, ma la trovo piuttosto nelle pietre, nelle forme.
Le chiese umbre di campagna sono indistinguibili dalle case di qui che a loro volta sono uguali a quelle che disegnano i bambini con il tetto a capanna e qualche finestrella. A rendere questa somiglianza ancora più forte la mia casetta quasi non ha finestre sul lato principale perché guardano tutte la valle sulla sinistra. Inoltre tante chiese, come l’eremo di San Silvestro, non hanno né un campanile nè un crocefisso creando un effetto mimetico sorprendente con l’ambiente circostante.
Come dico sempre, una casa con la faccia da casa è bella come un cane con il muso da cane, non servono tanti fronzoli a valorizzare qualcosa che è già bello in sé”.
L’inversione del modello di vita, quello auspicato da Langer e dallo stesso Gabriele in questo diario rassomiglia a quello che oggi si chiama “pensiero postmoderno”. E questo, a sua volta, assomiglia molto all’inversione di vita operata come scelta da San Francesco.
(Leggo un contributo diJose Antonio Merino: Il Contributo del Francescanesimo alla Cultura dell’ Europa, [From Orientamento Spirituale dell’Europa. Edizioni KYROMANOS, Thessaloniki, 1997.]
“Il “pensiero postmoderno” processa la ragione moderna e accusa le sue pretese razionaliste e onnicomprensive, leva la propria sfiducia e la propria critica contro i sistemi globalizzanti della modernità, contro i suoi dogmi e le sue promesse, ma anche contro i discorsi mascherati di dominio e contro le grandi fabulazioni sull’emancipazione. La cultura della postmodernità … prova un gusto particolare per l’antimodello… Tutti i grandi principi e i solenni proclami vengono demistificati in nome di una realtà ben più modesta ma più autentica, meno idealista ma più realista, meno razionalizzata ma più vitale e pluridimensionale. Si valorizza e si potenzia il frammentario, il parziale e l’irrilevante.
In questo senso, da molte parti si rileva come il francescanesimo, con il suo senso del concreto e il suo amore per tutte le realtà, anche apparentemente irrilevanti, può offrire i presupposti per intavolare un dialogo con il frammentario, una comunicazione con il diverso e un rapporto di dialogo tra soggettivo e oggettivo, tra uomo e uomo, tra uomo e natura.”.
In particolare va evidenziato come sia diventata una delle priorità, uno dei problemi più urgenti del nostro tempo agevolare il diffondersi di “una cultura ecologica e cosmica”; va sottolineata la necessità di costruire un “un inseparabile sistema di reciprocità tra l’io e gli altri e con il mondo. Solo se il mondo si trasformerà in vera dimora sapremo abitarlo.”.
 
Infine ecco, a questo proposito ancora una suggestione di Gabriele:
“(Vi abbraccio) Arrivo a Collepino al tramonto e vorrei correre ad abbracciare ogni albero, ogni pietra. E’ strana questa sensazione, è come una ricerca di comunione con l’ambiente, di frenesia di contatto e condivisione.”.
“(Fango) … quando mi ritiro a scrivere, leggere e riflettere su queste colline di Spello … sperimento questa fusione con la natura …”.
“(Amore per la terra) E’ come fare l’amore con la natura che ti circonda. Il bisogno che ho di vedere, toccare, annusare ogni foglia, ogni muretto, ogni siepe è un po’ questo. Come chi è innamorato di una donna.”.
 
Ho provato a raccogliere le annotazioni di Gabriele per filoni e si può seguire un suo percorso mistico (sulle tracce del passaggio di san Francesco in questi luoghi, attraverso un ricordo di padre Carretto); un suo percorso naturalistico (attraverso l’avvistamento e l’osservazione di uccelle ed altri animali selvatici, attraverso il riconoscimento delle erbe selvatiche commestibili); storico (soprattutto sulla memoria della guerriglia di Resistenza al nazi-fascismo, che ha coinvolto anche la sua famiglia, come molte altre famiglie spellane); artistico; ed anche un piacevole percorso gastronomico; ma lascio al lettore scoprirli.
Piuttosto vorrei evidenziare qui alcune osservazioni di Gabriele Salari che contengono denuncie e suggerimenti che potrebbero essere accolti a livello locale con un po’ di buona volontà.
Ad esempio:
“(Globalizzazione al supermercato) Il supermercato ha cambiato gestione e non ha più i prodotti locali. Strano fenomeno di globalizzazione su scala locale. Il pecorino infatti non è più umbro ma arriva dal viterbese perché questa catena è di lì. Non c’è più la costosa ma locale acqua Sassovivo e neanche la pasta fresca del pastificio di Spello. Vorrei fare una petizione per riportare questi prodotti sugli scaffali. Prima era sempre un supermercato ma promuoveva l’economia locale. Anche l’insalata si chiamava “Frate Sole”, era in busta, ma locale. Perché dobbiamo far viaggiare le merci per chilometri e chilometri quando le stesse cose sono disponibili sul posto?”.
“(La vacca Simmenthal) In bicicletta ero a San Giovanni e mi sono fermato a parlare con il pastore che ha le vacche lì. Ne ha 12 e ho contato 6 vitellini di diversa età, da una settimana a quattro mesi. Le vacche sono o della razza “pezzata rossa” chiamate volgarmente Simmenthal oppure della razza “bruna alpina”. Tutte razze da carne, compreso un toro di Chianina.
Ho parlato con Cencio del perché non alleva più le vacche. “Le ho vendute. Tanto ti pagano la roba buona come le porcherie che compri al supermercato, non conviene più.”.
 
 

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