ZANZOTTO E LA RICERCA DELLA BELLEZZA

Non posso non ricordare Andrea Zanzotto, da poco scomparso, che aveva compiuto da poco 90 anni e speravo di intervistare, lo ho anche citato nel libro “L’Italia diversa”, che arriva in libreria tra una settimana esatta.
Goffredo Parise scrisse una volta di Zanzotto: “è un geologo che ha piantato sulla propria terra il suo pozzo artesiano e giorno e notte trivella in profondità nel suolo roccioso fino a quando troverà il fuoco delle supreme viscere, il rombante vulcano, se ne può esser certi della sua prossima poesia”.
La madre natura, il paesaggio, a partire dal titolo della prima raccolta in versi è stato questo il nodo della sua poesia. Lo confessa lui stesso: “Fin da bambino ho sempre avuto interesse per la geologia e per la geografia, per i tempi immensi. Mi muoveva la volontà di stare a stretto contatto con le rocce, l’erba, le piante. Con i milioni di anni, più che con i millenni”.
Scrive Franco Marcoaldi: “Anche quando nel suo Veneto si consumerà il più grande terremoto paesaggistico antropologico del dopoguerra, Zanzotto ricomincerà comunque da lì, dalla terra, a tessere il filo di una poesia perfettamente consapevole della sua progressiva impotenza”.
E poi Marcoaldi dice qualcosa in cui mi rispecchio molto del nostro poeta, che “aveva anche una qualità, di cercare spasmodicamente la bontà e la bellezza in ogni recondito anfratto”.

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