FANGO SULL’ENEL

Ogni giorno una decina di autoarticolati lasciavano la centrale a carbone dell’Enel “Federico II” di Brindisi, la più grande centrale termoelettrica d’Italia a carbone e una delle più grandi d’Europa, per dirigersi in Calabria, in teoria verso una fabbrica di laterizi nel Comune di Motta S. Giovanni (RC), in realtà presso la cava adiacente di proprietà della Ditta Caserta. Cosa scaricavano i camion? Mattoncini color ruggine o color grigio, ovvero fanghi tossici, residui del processo di produzione della centrale a carbone.
Si tratta in particolare di fanghi di trattamento degli spurghi di desolforazione e fanghi di trattamento delle acque reflue che sono risultati contenere mercurio, vanadio, idrocarburi e oli minerali.
Questi rifiuti, classificati inizialmente come pericolosi, venivano declassificati a rifiuti non pericolosi e si sosteneva venissero avviati al recupero per la produzione di laterizi. In realtà non venivano trattati e finivano direttamente seppelliti nella cava. Lo ha scoperto il Corpo forestale dello Stato dopo un’inchiesta di 4 anni partita su segnalazioni dei cittadini, con intercettazioni telefoniche,  sopralluoghi e acquisizioni documentali.
I mandati di arresto emessi dal Gip di Reggio Calabria riguardano 10 persone: funzionari della Centrale Enel di Brindisi, proprietari e dipendenti dell’industria di laterizi, autotrasportatori. Sequestrati, inoltre, 15 autoarticolati utilizzati per il trasporto dei rifiuti dalla Puglia alla Calabria. Proprio come nel film Gomorra!

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