L’ECOLOGIA DIMENTICATA

“Allevamenti intensivi con le deiezioni animali inquinano la prima e la seconda falda acquifera in ampie zone del Paese. Ci facciamo belli sulla qualità dei nostri prosciutti e delle norme sanitarie per produrli (le più rigorose al mondo) nel momento in cui quelle falde inquinate infestano buona parte dei terreni agricoli. Le connessioni tra cibo, ambiente, produzione animale e vegetale, salute, benessere, economia sono così forti da richiedere un approccio non solo di natura specialistica, ma una visione d´insieme”.
Così scrive Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, a proposito della recente emergenza alimentare delle uova alla diossina in Germania. E queste righe mi colpiscono perché esplorare le connessioni, adottare una visione globale dei nostri comportamenti e delle scelte economiche, è quanto ci richiede da sempre quella scienza inascoltata che è l’ecologia. Non meravigliamoci se ognuno di noi poi guarda solo al proprio orticello e non si accorge che se tutto il quadro che c’è attorno non si regge più, ogni sforzo per difendere la sua piantina sarà vano. Se non siamo stati in grado di meritarci politici con questa lungimiranza, uno sforzo in più dovremmo pretenderlo dagli scienziati e da chi fa ricerca in generale: guardate al di là del vostro microcosmo specialistico, esplorate le connessioni! Se un economista studia l’impatto delle dighe alla luce di un paio di direttive europee e non si confronta con il biologo che studia i salmoni che non riescono a risalire i fiumi non va a fondo; se l’agronomo si occupa di colza senza parlare con chi analizza il mercato dei biodiesel pure.
Il sociologo francese Edgar Morin, quando lo intervistavo a Parigi 15 anni fa, insisteva molto sul rompere la barriera tra scienze umane e biologia e molta della sua saggistica va in questo senso. Ho appena terminato di leggere poi un libro fantastico, che racconta l’avventura di uno zoologo norvegese che nel 1947 si mise in testa di dimostrare che un popolo indigeno ormai estinto del Perù fu il primo a raggiungere la Polinesia su delle zattere di balsa. Tutti gli risero dietro. Thor Heyerdahl, però, a bordo del “Kon-Tiki” (andatela a vedere, è in un museo a Oslo), con a bordo non degli specialisti ma l’amico marconista di Trondheim, lo svedese sognatore amante del mare ed altri quattro, compì l’impresa in 4 mesi, usando le stesse tecniche dell’antichità. Thor non era un antropologo o un etnologo ma solo un naturalista che esplorava le connessioni. Aveva visto che se sulle isole della Polinesia c’erano animali e piante del Perù, che per mare non sarebbero mai potuti arrivare, non c’era altra spiegazione logica. Esploriamo le connessioni dunque, siamo curiosi e…buon 2011 di nuove scoperte!

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